TRIBUNALE DI VENEZIA – Un recente verdetto a Venezia ha condannato cinque individui per incitamento all’odio razziale tramite Facebook.
Particolarmente significative sono le figure di una donna di 79 anni del Veneto e un uomo di 57 anni del Friuli tra i condannati. La notizia va oltre il semplice fatto giudiziario e si inserisce nel dibattito più ampio sulla responsabilità e l’etica nel mondo dei social media. In questi spazi virtuali, spesso considerati erroneamente come luoghi dove “tutto è permesso”, esistono in realtà delle regole ben precise. La diffusione di messaggi d’odio è punita dalla legge, anche se a compiere l’atto è una simpatica nonna che solitamente condivide foto di fiori e nipoti, o un imprenditore noto per la sua lingua tagliente.
La questione ha preso avvio con un video su Facebook pubblicato dal senatore Stefano Candiani e dall’assessore comunale Fabio Cantarella. Il video ritraeva i due politici della Lega mentre parlavano in modo dispregiativo degli immigrati, senza fornire dati o prove a sostegno delle loro affermazioni. Dopo una denuncia da parte dell’associazione “Rita Atria”, la Procura aveva inizialmente proposto di archiviare il caso. Tuttavia, nel 2020 la giudice per le indagini preliminari ha deciso di proseguire con le accuse. Nel 2021, Candiani ha beneficiato dell’immunità parlamentare, mentre per Cantarella il procedimento giudiziario è continuato.
Parallelamente, un altro processo è stato condotto contro 14 utenti Facebook che avevano lasciato commenti d’odio sotto il video in questione. Cinque di questi hanno poi optato per un procedimento giudiziario abbreviato e sono stati condannati. Le sanzioni pecuniarie sono variate: la donna veneta è stata multata con 667 euro, mentre l’uomo del Friuli ha ricevuto una multa di 2.000 euro. A tutti i condannati è stato imposto un divieto di tre anni su qualsiasi tipo di attività di propaganda politica o elettorale.
Questo caso funge da monito per tutti coloro che utilizzano i social media, soprattutto in un contesto socio-politico sempre più divisivo. Esso riafferma che le leggi esistono anche nel mondo virtuale e che nessuno è al di sopra di esse.
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